La sconfitta brucia. Leu è andata male. Siamo al di sotto, molto al di sotto delle nostre aspettative dichiarate. Ed è naturale che quando si analizza il voto si delineano diverse chiavi di lettura. Non mi sconvolge, discuteremo. Ci sono però tre questioni che credo siano dirimenti per compiere una riflessione ordinata e non semplicistica:
- Questione europea. C’è stato un terremoto che ha spazzato via le casematte della sinistra in Italia, esattamente come è accaduto prima nel resto dell’Europa. Dunque siamo dentro un flusso più generale, transanazionale: il ridimensionamento dello spazio politico ed elettorale dei progressisti, ormai ovunque. Letture provinciali sarebbero davvero troppo facili e autoassolutorie
- Questione sociale. Nei nostri comizi evochiamo sempre – è la missione della sinistra da quando è nata – la difesa dei ceti sociali più colpiti dalla crisi che però scelgono di farsi difendere da altri, Lega e M5S in primis. E per la prima volta sono maggioranza nel paese. Giovani, disoccupati, lavoratori precari, piccoli e medi imprenditori in crisi. Se questo dato inequivocabile non ha una qualche forma di sfogo nel governo che verrà, balleremo per altri anni ancora e la temperatura non si abbasserà
- Questione democratica. La sinistra per troppo tempo ha confuso elites con establishement. Sono cose diverse. Le elites dovrebbero educare alla complessità, l’establishement vive per mantenere invece lo status quo. Siamo apparsi infatti quelli dello status quo. Un paese senza elites democratiche capaci di mettersi alla testa di una trasformazione reale del sistema non ha futuro e lascia spazio a un establishement che sembra Maria Antonietta prima della rivoluzione che alle brioches sostituisce i vincoli del fiscal compact.
Infine noi. Bisogna ritornare nei luoghi della campagna elettorale, discutere con chi ci ha votato e soprattutto con chi non ci ha votato. Ascolto e umiltà, ma anche determinazione.
Abbiamo preso un milione e centomila voti. Troppo poco per esultare, troppo per sbaraccare, litigare, separarci.
Dobbiamo dare seguito alla promessa che abbiamo fatto agli elettori prima del 4 marzo: strutturare un partito politico, renderlo democratico, costruire una cultura politica comune. Nessun sentimento di autosufficienza. Saremmo ridicoli. Ma autonomia sì, quella la dobbiamo esercitare senza paura. Conterà indubbiamente cosa accadrà in altri partiti. Deve interessarci. Ma riguarda innanzitutto la loro dinamica interna, che va vista con rispetto e noi non possiamo fare l’errore di stare alla finestra aspettando Godot. A noi tocca ripartire da quei voti e da quelle speranze – anche se piccole – che abbiamo suscitato.
Se lo aspettano in tanti. Deluderli anche questa volta sarebbe non solo sbagliato, ma criminale.